lunedì 18 agosto 2008

L'intervista a Sandro Piccinini

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Sandro Piccinini è nato a Roma nel 1958 ed è figlio di Alberto, popolare calciatore di Juventus, Palermo e della Nazionale italiana tra gli anni ’40 e ’50. Oggi è il conduttore di “Controcampo ultimo minuto” su Italia 1, prima trasmissione a proporre i gol della serie A in chiaro, ed è uno dei telecronisti di punta di Mediaset. Piccinini si interessa anche di Storia della Televisione. Nel 2006 ha pubblicato per Mondadori il libro “Il mucchio selvaggio”, scritto con il collega Giancarlo Dotto, nel quale si parla di fatti e personaggi che hanno fatto la storia delle Tv locali fin dalla loro nascita, un periodo che lo stesso Piccinini ha vissuto da protagonista.

Come hai cominciato?
Mentre studiavo giornalismo a Urbino, nel 1978, nascevano tante Tv locali. Ho pensato che poteva essere utile fare esperienza, ma non pensavo che potesse diventare un lavoro, visto che nello sport c’erano solo la Rai e le radio locali, ma poteva essere una buona idea per fare esperienza prima di lavorare in qualche giornale. In pochi mesi ho capito che il fenomeno era in espansione e così sono stato totalmente assorbito al punto da lasciare l’università. La prima radiocronaca la feci a Torre Maura, un quartiere di Roma. Era una specie di “Tutto il calcio minuto per minuto” sul campionato di Promozione laziale che andava in onda sulla radio del gruppo Tvr Voxson, nella stagione 1978/79, una trasmissione che ebbe grande successo. In quegli anni, fino al 1982, feci anche qualche comparsata in Tv nella trasmissione di Lamberto Giorgi e la telecronaca differita il lunedì sera delle partite di Roma e Lazio delle quali Tvr Voxson aveva i diritti. Nel 1982 sono passato a Teleroma56 dove partecipavo a un programma della domenica mattina, “Meeting”, condotto da Giulio Galasso.

Hai collaborato anche con la Rai.
Sì, nel 1982 ho fatto le telecronache di una ventina di partite dei Mondiali di Spagna che la Sacis, concessionaria di pubblicità della Rai, distribuiva a un circuito di Tv locali che trasmettevano le partite il giorno seguente. Con me c’era anche Stefano Vespa, fratello di Bruno. Commentavano le partite in diretta dagli studi di via Teulada e Paolo Valenti, che ci aveva scelto, ci disse che avremmo avuto un grande futuro in Rai. A Stefano Vespa toccò il commento della finale Italia-Germania Ovest. Subito dopo realizzai anche uno speciale di 40’-50’ sul Mondiale che ebbe un grande successo. In seguito mi sono occupato di calcio internazionale con la trasmissione “Calcio Spettacolo” per Rete4, ancora non di Berlusconi, realizzata da una società di produzione romana che aveva i diritti di un po’ di calcio estero, soprattutto Fa Cup, la Coppa d’Inghilterra.

Qual è stata la tua prima trasferta come telecronista?
Nel 1987, in occasione di Porto-Real Madrid, ritorno del secondo turno di Coppa dei Campioni. La partita andava in onda su Italia7, e da poco avevo cominciato a collaborare con la Fininvest, che controllava questa emittente. Ettore Rognoni, già allora responsabile dello sport, mi aveva affidato questo compito e con me c’era Fabio Capello, che all’epoca lavorava in Mediolanum. In quel periodo ho fatto telecronache anche dei campionati olandese e tedesco e di Porto-Peñarol di Coppa Intercontinentale, tutte queste via tubo. E’ stata la prova generale per il passaggio a TeleCapodistria.

Raccontaci la tua esperienza con la Tv istriana.
Capodistria era controllata dalla Fininvest che ne fece un canale di solo sport, approfittando del fatto che faceva parte dell’Eurovisione e mi dividevo tra gli studi di Milano e quelli di Capodistria, dove andavo spesso. Per loro sono stati anni d’oro e ho avuto l’opportunità di conoscere splendidi professionisti come Sergio Tavcar, che faceva il basket, e Sandro Vidrih, che si occupava di sci e atletica: due fuoriclasse assoluti. Tavcar dava “mazzate” ed era un critico feroce, ma divertentissimo da ascoltare e di una grandissima competenza. Il mio riferimento era comunque la Fininvest, che gestiva il palinsesto. In qualche caso mi toccavano delle trasferte incredibili, a Bucarest, Kiev o Berlino Est, e questi viaggi erano un’avventura. Si viaggiava da soli, senza accredito, e dovevamo arrangiarci tra poliziotti armati ed escamotage, come il portare regali alla società ospitante.

In quegli anni sei stato anche il conduttore di “A tuttocampo”, trasmissione antenata di “Controcampo”.
Sì, cominciai nel giugno 1989 per le ultime due puntate della stagione. Il conduttore Gigi Garanzini aveva litigato con la Fininvest e se ne andò, così mi chiamarono il venerdì mentre ero a Copenaghen a seguire un quadrangolare dove era impegnato il Brasile. Giovanni Bruno era il caporedattore e Giorgio Tosatti e Roberto Bettega gli opinionisti. Poi ho fatto tutta la stagione 1989/90. Nello stesso anno ho cominciato a condurre “Guida al campionato” su Italia1 proseguendo fino al 1996, quando mi sono dimesso da redattore per diventare free press.

Poi è arrivato “Controcampo”.
Dopo aver fatto solo telecronache nel 1997, nel 1998 siamo partiti con “Controcampo” al lunedì sera in seconda serata, per passare alla domenica, subito dopo il posticipo, dalla stagione successiva. Negli ultimi due anni, con “Controcampo ultimo minuto” siamo la prima trasmissione a mostrare i gol in chiaro, ma per me è l’ultimo con questo programma. Comunque dalla prossima stagione cambierà tutto. O la Lega Calcio cederà tutti i diritti a Sky per il satellite e a Mediaset per il digitale terrestre fino alle 22.30, facendosi pagare di più, oppure cederà i diritti in chiaro alla Rai a un prezzo inferiore a quello pagato da Mediaset ma togliendo un’altra partita, che potrebbe essere inserita alle ore 13.

A proposito di “Controcampo”, sono veri i battibecchi tra Giampiero Mughini ed Elisabetta Canalis?
Tra di loro non c’è gran simpatia, non c’è nulla di costruito nei dialoghi, comunque c’è rispetto reciproco e sono due grandi professionisti con i quali mi trovo benissimo.

C’è un radiotelecronista al quale ti ispiri?
Secondo me il più grande di tutti è stato Enrico Ameri, un esempio, con un ritmo eccezionale. Con lui capivi subito se era gol o meno, senza aspettare il boato della folla. I termini che uso in telecronaca mi sono venuti spontaneamente, poi quando ti accorgi che diventano un tormentone diventa normale ripeterli, ma sono funzionali al commento. Ci sono già le immagini, dunque bisogna usare un linguaggio più semplice.

Cosa pensi dei tuoi attuali colleghi?
Fabio Caressa, Massimo Marianella, Marco Civoli, Gianni Cerqueti, per fare qualche nome, sono tutti di ottimo livello. Certo, Caressa e Marianella li ho visti nascere a Teleroma56 e li seguo con piacere, e ho lavorato anche con Cerqueti, del quale sono amico. La scuola romana comunque ha prodotto ottimi telecronisti oltre a quelli che ho citato.

Hai fatto parte del cast de “L’allenatore nel pallone 2” con Lino Banfi. Raccontaci questa esperienza.
E’ stata una esperienza curiosa, anche se recitavamo nella parte di noi stessi. Con me infatti c’era anche Giampiero Mughini. E’ un lavoro bestiale, per tre minuti di riprese ci vogliono quattro-cinque ore di lavoro. Già nel primo film avevano partecipato giornalisti televisivi famosi, dunque è stato interessante e divertente partecipare, poi Lino Banfi è un grande professionista.

Con Giancarlo Dotto hai scritto un libro, “Il mucchio selvaggio”, sulla storia delle Tv locali. Come è nata l’idea?
Ogni tanto ci capitava di parlare di aneddoti e ricordi degli anni delle Tv locali, allora abbiamo pensato di scrivere un libro, anche come memoria storica. Avendo vissuto di persona quel periodo c’erano tante cose che non potevano affiorare se non dal racconto diretto dei personaggi. Tra i protagonisti di quegli anni ci sono dei personaggi che sono rimasti sconosciuti, altri che hanno fatto carriera e che forse si vergognano di ricordare quel periodo. Abbiamo cominciato quasi per gioco, poi il materiale era così tanto che avremmo quasi dovuto farci un altro libro. E’ stata una fatica, ma molto divertente, tutto quello che volevamo mettere lo abbiamo inserito. Pensiamo che per la storia delle televisioni locali questo libro possa essere un punto di riferimento.

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