Il giornale Illustrazione ticinese ha pubblicato nel numero 6 dello scorso 1° giugno una bella intervista a Sergio Ostinelli, il telecronista principale della Televisione della Svizzera Italiana che segue le partite della Nazionale svizzera di calcio. Ostinelli ha anche collaborato in una occasione con la Rai, alle Olimpiadi invernali di Lake Placid nel 1980 lavorando come seconda voce di Paolo Rosi nella telecronaca della finale di hockey su ghiaccio del 22 febbraio tra Usa e Urss, sport molto popolare in Svizzera e che vide la storica vittoria dei padroni di casa, composti da universitari, per 4-2 sui grandi rivali sovietici che avevano i loro giocatori migliori. Ecco alcune parti dell'intervista, che la redazione mi ha cortesemente fornito e che è stata realizzata da Marco Ortelli:
Fa impressione l’elenco di grandi eventi sportivi ai quali egli ci dice di aver preso parte in qualità di radio e telecronista:
“9 edizioni dei Campionati mondiali di calcio (dal 1974 al 2006) e 7 edizioni degli Europei (1980-2004), 9 edizioni estive (1972-2004) e 7 invernali (1976-1994) dei Giochi Olimpici, 10 edizioni dei Mondiali di ciclismo e 5 edizioni dei Mondiali di sci”.
Senza dimenticare gli innumerevoli eventi sportivi di carattere nazionale, cantonale e regionale.
Mediare tra spettatori a casa e avvenimento sportivo attraverso il mezzo di comunicazione radiofonico e televisivo, una passione che arriva...
“Da lontano. Il calcio è entrato molto presto nella mia vita perché mio padre mi portava sempre a vedere il Locarno. Allora le quattro squadre ticinesi che ora sono in Challenge League, giostravano in Serie A, c’erano i derby, al Lido arrivavano il Grasshopper, lo Young Boys, il Basilea, tutte partitone, e sicuramente in quegli anni mio padre mi ha trasmesso la passione per il calcio. Decisivo è stato poi il 1954, l’anno dei Mondiali in Svizzera, avevo 10 anni, e ricordo l’atmosfera che circondava la Nazionale. Si era agli albori della televisione, il giovedì sera, ad esempio, ci si trovava nei ristoranti per vedere Lascia o raddoppia; alcune partite dei Mondiali le ho viste proprio nei ritrovi pubblici. Ma era la radio a contare maggiormente, con la magica voce di Giuseppe Albertini e Vico Rigassi a raccontarci le imprese sportive. Una magia che mi ha catturato spingendomi poi a scegliere questa professione”.
Mi domando, mentre l’incontro prosegue con la narrazione del percorso professionale, una volta compiuti gli studi al Collegio Papio di Ascona. Apprendiamo così del suo ingresso in Radio nel 1964, avendo quali ‘maestri’ i già citati Rigassi e Albertini, unitamente ad Alberto Barberis, un “pioniere che si occupava di ciclismo” e Tiziano Colotti, “del quale inizialmente ero stato il secondo”. Risale poi al 1990 il suo passaggio in televisione, a caratterizzare una carriera professionale dedicata allo sport in generale e al calcio in particolare.
Eccoci così a parlare del suo lavoro, argomentando sulla differenza tra una cronaca radiofonica e una televisiva:
“Tra le due corre una sostanziale differenza. Nella radiocronaca occorre avere un ritmo molto battente, non fare pause e cercare di ricreare con le parole una determinata situazione, è necessario quindi sempre localizzare dove si trova ad esempio la palla, perché l’ascoltatore non vede e bisogna così dargli dei costanti punti di riferimento. In televisione bisogna essere un po’ più distaccati, mantenere un certo ritmo, e siccome molte cose si vedono bisogna orientarsi maggiormente sul commento specializzato e sull’interpretazione della situazione”.
Come vede una partita un telecronista, diviso tra campo, linguaggio, cuffie, monitor e spettatori a casa:
“Allo stadio bisogna essere effettivamente un po’ strabici, tenere un occhio sul monitor e uno sul campo. L’occhio sul campo è insostituibile perché ti dà la visione totale della situazione, mentre il monitor ti dà una visione ristretta, anche se bisogna sottolineare che il monitor inquadra ciò che il telespettatore vede a casa, e quindi rimane un punto di riferimento imprescindibile”.
Uno sguardo attento. Come si prepara Sergio Ostinelli per un’attenta telecronaca?
“Diverse settimane prima raccolgo materiale su giocatori e squadre, che poi seleziono per portare in postazione lo stretto necessario. Oggi il lavoro è più difficile, perché il pubblico è più smaliziato e competente rispetto a un tempo e occorre quindi una preparazione meticolosa e attenta. Per quello che concerne la memorizzazione dei giocatori, il pomeriggio che precede la gara studio i numeri e i volti dei giocatori, ciò mi permette di sentirmi più tranquillo, agevolando interpretazione e giudizio della partita. Il problema più grosso, secondo me, consiste proprio nel giudicare la partita mentre è in divenire, il rischio di essere smentiti è sempre in agguato”.
Cronista e uomo sono due anime indissolubili. E l’uomo può anche essere un tifoso. Come si conciliano in lei queste anime? È bene che un giornalista esponga la propria eventuale ‘fede’ sportiva?
“Come uomo, lo abbiamo visto, ho sempre avuto una simpatia per il FC Locarno, questo però non mi ha mai impedito di essere un professionista obiettivo. Col tempo poi, abituato per lavoro a vedere le cose… dall’alto, ho acquisito un certo distacco. Per quello che riguarda il dire apertamente per chi si parteggi, ritengo che qui in Ticino non si sia ancora pronti a compiere questo salto di qualità. Il nostro campanilismo è proverbiale”.
Dopo 44 anni da commentatore sportivo, come definirebbe la sua professione?
“Ritengo che il telecronista debba prendere per mano il telespettatore e condurlo per il mondo. Bisogna essere dei mediatori discreti, non troppo invadenti, capaci di interpretazione senza però mai dare l’impressione di essere i depositari della verità assoluta. È importante dire bene quello che la gente vede, tutto il resto è opinabile”.
Cosa le ha dato questa vita... sportiva?
“Lo sport è stato tutta la mia vita, e io sono cambiato insieme allo sport che è cambiato. Oggi sono un po’ disincantato. Quando sei giovane i giocatori appaiono come degli eroi e tutte le partite sono un evento. Oggi con il doping, la corruzione, la violenza, in me affiora non dico un po’ di stanchezza, ma forse un po’ di delusione. E poi c’è ormai uno scollamento tale tra protagonisti e giornalisti, che il mestiere rischia di essere confinato in una… postazione. Il contatto umano sta diventando vieppiù carente. Tutto una volta era molto più famigliare”.
Nella foto da TiPress la copertina del numero di "Illustrazione ticinese" con l'intervista integrale a Sergio Ostinelli.