Ma i milioni di italiani che seguono le gesta della nostra Nazionale agli Europei di calcio sanno cosa significa "ripartenza", "attaccare gli spazi", "fare la diagonale", "alzare il baricentro", "scalare al centro", "cercare l'uno contro uno", "tap-in"? Il linguaggio sportivo è da sempre un linguaggio settoriale e dunque pieno di tecnicismi. Siamo cresciuti con un bagaglio di vocaboli che a noi pareva la cosa più naturale del mondo ma per i più, forse, era ostrogoto: imbastire un'azione, fare un traversone, infilarla nel sette, discesa, entrata, ragnatela a centrocampo, galoppata, catenaccio, sforbiciata, sfondare la rete, rovesciata, venezia, crossare, zona Cesarini. Il massimo era «manovra ficcante». Tuttavia il tecnicismo pareva moderato e, in qualche modo, addolcito dal tono aulico del linguaggio sportivo, pieno di "orobici" e "rossoalabardati"... Con la tv, il gergo sportivo è letteralmente esploso.
Questi Europei propongono due fatti curiosi. Dopo l’esperienza parziale dei Mondiali 2006, un grande evento sportivo torna a tempo pieno in Rai, "in chiaro", visibile cioè a tutti gli spettatori. Nel frattempo, il tecnicismo è aumentato, grazie anche ai commenti domenicali di Sky che però sa di rivolgersi a un pubblico settoriale, d’intenditori. Le telecronache della Rai sono abbastanza grigie, sempre rigorosamente tautologiche (dicono quello che lo spettatore vede), un po’ monotone.
Succede allora, come fa l’incontenibile Salvatore Bagni con Marco Civoli, che la seconda voce, dedicata al commento tecnico, sovrasti la prima, si allarghi, esalti il gergo corporativo. Se prima uno spettatore da Nazionale poteva intuire il significato di formule come "accarezzare il palo" o "addormentare la partita", adesso deve seguire l'incontro con il vocabolario (che purtroppo non esiste).
Tutto ha inizio con il "mister" Arrigo Sacchi, con la sua "filosofia" del calcio e l'ossessione del rinnovamento. Siccome contropiede (un bellissimo calcio su contrattacco, controtempo, persino su contropelo) ha una connotazione negativa inventa la parola "ripartenza". Da quel giorno è ripartito un nuovo gergo killer, che si è subito sbarazzato di alcuni capisaldi della leggenda. Via i terzini (che però erano due), via le ali, via i mediani, via figure epiche come lo stopper e il libero, dentro i centrali difensivi e gli esterni di fascia, alti o bassi. È successo anche questo: una volta erano i giornalisti a dettare il gergo calcistico, attingendo spesso da quello militare; adesso sono i tecnici, gli ex calciatori e quindi aumenta il tasso di gergalismo. Esempio: «Il portatore di palla, con un compagno a rimorchio, cerca la superiorità numerica lungo le corsie».
E cosa vuol dire "attaccare gli spazi"? Vuol dire "pressare" in una zona del campo con tutta la squadra o, se riferito a un singolo giocatore, smarcarsi? C'è chi dice anche "attaccare la palla" e forse basterebbe dire "contrastare". E che differenza c'è fra "ricevere la palla dalle fasce" o riceverla "dalla linea"? C'è voluto un po' di tempo per capire che "la verticale" non è un esercizio ginnico ma un modo di giocare; si dice anche "verticalizzare" che significa semplicemente buttare la palla in avanti e pedalare. Quando un portiere "battezza la palla fuori" non sacramenta ma spera solo che la palla non si infili in rete. I momenti di "non possesso" sono quelli in cui gioca la squadra avversaria mentre la «palla inattiva» è la palla ferma.
"Accorciare" vuol dire far giocare la squadra in un fazzoletto di terreno (si dice anche "squadra corta"). Quando invece "saltano le marcature" la squadra si allunga o "si spacca in due". Il «piede a martello» fa male e merita il cartellino giallo, a differenza di chi "strozza la conclusione" o di chi "taglia l'area", reati finora non puniti. Quando un calciatore cerca il "secondo palo" bisognerebbe almeno sapere qual è il primo. Certamente ha il diploma di geometra quello che ha introdotto le espressioni "alzare il baricentro della squadra" (che significa poi "far salire la squadra") o effettuare "la diagonale difensiva" (che significa poi "scalare al centro"). "Uno contro uno" è il prologo necessario di un dribbling. Il vecchio trequartista adesso sta tra "le due linee" non passa più la palla ma la "scarica", non fa più lanci di trenta metri ma "cerca la profondità".
Siccome il calcio è lo sport più popolare, è facile prevedere il dilagare di nuove metafore nel linguaggio comune. Se prima sentivamo un politico parlare di "discesa in campo", di "squadra di governo", di "giocare di rimessa" è probabile ora che il Parlamento risuoni di formule inedite: "approcciare la fase offensiva", "fare reparto", "legge tap-in" (legge fatta di rimbalzo su un'altra).
Italo Calvino chiamava queste espressioni gergali "antilingua". Non è una lingua che non si capisca ma è profondamente inadeguata alla bellezza del gioco del calcio (tanto ci sono sempre le immagini a fare da contesto).
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